Chi ha deciso che Riccardo III doveva essere il cattivo della storia?

“La storia è scritta dai vincitori.” E mai frase fu più vera, soprattutto se si parla di Riccardo III.

Per secoli, il nome di Riccardo è stato sinonimo di tirannia, tradimento e crudeltà. Un re deforme, assetato di potere, capace perfino di assassinare i propri nipoti pur di tenere stretto il trono. Questa è l’immagine scolpita nella mente di molti, complice Shakespeare, certo, ma anche una lunga catena di cronisti, biografi e propagandisti.

Ma cosa succede se iniziamo a tirare il filo di questa narrazione?

Chi ha davvero detto tutto ciò su Riccardo III? E soprattutto: perché?

Dietro le accuse si nascondono nomi precisi: Polidoro Virgili, Tommaso Moro, John Morton… e infine William Shakespeare.
Tutti legati, direttamente o indirettamente, a una sola dinastia: i Tudor.

Quella stessa casata che aveva tutto l’interesse a cancellare l’eredità dei Plantageneti e a legittimare il proprio potere.

Ma come è nata la leggenda nera di Riccardo? Proviamo ad andare alla radice del problema e scopriamo chi è stato il primo a mettere in giro tutte le menzogne.
NOTA BENE: Se non avete tempo di leggere tutto vi consiglio di andare in fondo al posto e leggere solo i fatti in breve.

Polidoro Virgili: il cronista dei vincitori

Polidoro Virgili non era inglese. Era un umanista italiano, arrivato in Inghilterra all’inizio del XVI secolo, su invito diretto di Enrico VII, il primo re della dinastia Tudor. E questo non è un dettaglio da poco: Virgili fu chiamato proprio per scrivere una storia ufficiale dell’Inghilterra. Il suo compito era raccontare il passato in modo utile al presente e… quel presente era il regno di un uomo che doveva giustificare una presa di potere violenta e debole.

Nel suo lavoro più famoso, l’Anglica Historia, Polidoro dipinge Riccardo III come un tiranno spietato, ambizioso, fisicamente deforme e moralmente corrotto. È la prima fonte scritta che attribuisce esplicitamente a Riccardo l’omicidio dei Principi nella Torre, insinuando che abbia fatto uccidere i suoi giovani nipoti per assicurarsi il trono.

Ma è fondamentale capire una cosa: Virgili scrive dopo i fatti, quando Riccardo è già morto da anni, e lo fa al servizio diretto del suo nemico. Non ha vissuto il regno di Riccardo, non ne ha conosciuto i protagonisti. Tutto ciò che racconta gli arriva per sentito dire e da persone che avevano tutto l’interesse a diffondere una certa versione dei fatti.

In poche parole: Virgili è la voce dei Tudor. E la sua versione della storia è costruita su misura per rafforzare il mito di Enrico VII come salvatore dell’Inghilterra da un usurpatore crudele.

Tommaso Moro: la penna di Morton

A Tommaso Moro viene spesso attribuito uno dei resoconti più influenti sulla figura di Riccardo III: la “Storia di Riccardo III”, un’opera incompiuta ma destinata a segnare profondamente l’immaginario collettivo. È una delle fonti principali da cui attingerà anche Shakespeare. Ma c’è un problema: Moro non era testimone diretto dei fatti.

Quando Riccardo III morì, nel 1485, Tommaso Moro aveva solo sette anni. Era troppo giovane per aver conosciuto o giudicato il re di persona. Eppure, il tono della sua narrazione è deciso, tagliente, moralista. Dipinge Riccardo come un uomo deforme nel corpo e nell’anima, manipolatore, crudele, assetato di potere.

Ma da dove venivano queste informazioni?

Il punto cruciale è che Moro crebbe alla corte di John Morton, arcivescovo di Canterbury e strenuo oppositore di Riccardo. Morton fu una figura chiave della propaganda tudoriana, e molti studiosi ritengono che la descrizione di Riccardo riportata da Moro non sia farina del suo sacco, ma piuttosto il frutto delle narrazioni di Morton stesso. Quindi a scrivere quelle cose non era Moro, bensì Morton stesso.

È importante sottolineare che Moro non era uno storico, ma un umanista e un autore brillante, e il suo scritto su Riccardo III ha molte caratteristiche di un’opera letteraria, persino satirica. Alcuni passaggi sembrano più una riflessione sul potere e sulla corruzione che un resoconto fedele dei fatti. Ma, nel tempo, queste pagine sono state lette come verità storica.

In sintesi: la visione di Riccardo che emerge da Moro è filtrata da Morton, e da un contesto in cui la verità storica passava in secondo piano rispetto alla narrazione utile ai Tudor.

John Morton: l’artefice della leggenda nera

Se c’è un nome che sta all’origine della rovina postuma di Riccardo III, è quello di John Morton.

Morton fu arcivescovo di Canterbury, Lord Cancelliere d’Inghilterra e una delle figure più influenti nel passaggio di potere tra i Plantageneti e i Tudor. Un uomo astuto, ambizioso, profondamente legato alla causa dei Lancaster e in stretti rapporti con Margaret Beaufort, la madre di Enrico VII. Non a caso, ne fu il padrino e mentore politico.

Durante il regno di Riccardo III, Morton fu arrestato per aver cospirato contro il re e scappò da Enrico Tudor. Dopo la vittoria di Enrico a Bosworth, Morton venne subito ricompensato e divenne uno degli uomini chiave nella nuova corte.

Ed è proprio da questo astio verso Riccardo che Morton inizia a diffondere la sua narrazione denigratoria. Una narrazione che ha tutte le caratteristiche della propaganda (ed anche dell’odio personale, quindi era soprattutto una questione personale quella di Morton): deformazioni fisiche simboliche, perfidia morale, delitti efferati, inclusa l’ormai famigerata accusa dell’omicidio dei Principi nella Torre.

Ma Morton non si limitò a parlar male di Riccardo perché plasmò anche chi avrebbe poi portato avanti la sua versione della storia.

Uno su tutti: Tommaso Moro, cresciuto nella sua casa, educato con i suoi racconti. Ed è quindi estremamente probabile che le descrizioni tremende di Riccardo che leggiamo in Moro provengano direttamente dalla voce di Morton.

È lui, insomma, la sorgente originaria del veleno.

Ed è da lui che prende forma quella leggenda nera che verrà poi copiata, espansa e trasformata in teatro.

Morton non fu un testimone imparziale. Aveva tutti i motivi politici e personali per screditare Riccardo, e li usò abilmente. La sua influenza diretta su Moro e indiretta su tutti gli altri è un nodo fondamentale per comprendere come sia nata la reputazione infame di Riccardo III.

William Shakespeare: il drammaturgo della propaganda

Ed ora arriviamo all’autore che più di tutti ha scolpito nella memoria collettiva l’immagine di Riccardo III come mostro: William Shakespeare.

La sua tragedia Richard III, scritta attorno al 1592, è una delle opere più celebri del teatro elisabettiano. Un capolavoro, certo, ma anche una delle rappresentazioni più distorte mai realizzate su un personaggio storico.

Riccardo, nella penna di Shakespeare, è un essere deforme e maligno, un genio del male che manipola, uccide, tradisce e conquista con la sola forza del suo cinismo. Un Machiavelli ante litteram, un demonio travestito da uomo.

Ma da dove trae ispirazione Shakespeare?

Dalle cronache precedenti, in particolare dalla Storia di Riccardo III di Tommaso Moro.

E quindi, indirettamente, dalle voci di John Morton.

È un effetto domino: Morton → Moro → Shakespeare.

C’è poi da considerare il contesto politico in cui Shakespeare scrive: è al servizio della corte di Elisabetta I, nipote di Enrico VII, la cui legittimità sul trono deriva proprio dalla sconfitta di Riccardo III.

Rappresentare Riccardo come un villain assoluto non era solo teatralmente efficace, ma politicamente conveniente.
Era il modo perfetto per rafforzare l’immagine della dinastia Tudor come salvatrice dell’Inghilterra.
E così, un testo teatrale, costruito per intrattenere, non per informare, è diventato per molti la verità storica.

Un Riccardo deformato, non solo nel corpo, ma nell’anima, ha preso il posto dell’uomo reale. E il pubblico, per secoli, ha creduto a quella versione.

Tutte le strade portano a John Morton.

Lui è l’origine della menzogna. Un uomo che aveva tutto da guadagnare nel distruggere l’immagine di Riccardo III, e che ha saputo farlo con astuzia, usando la parola come arma e le persone come veicoli: Tommaso Moro come voce, Polidoro Virgili come cronista, Shakespeare come megafono.

Riccardo III è stato vittima di una delle più grandi campagne di diffamazione della storia.
Un’operazione politica travestita da letteratura, da teatro, da cronaca.

Ma oggi, grazie a studi più attenti, a nuove scoperte e a una maggiore sensibilità storica, possiamo finalmente rimettere in discussione tutto questo e restituire a Riccardo la dignità che gli è stata negata.
(e per questo chiedo aiuto agli storici, li supplico di non limitarsi a raccontare i fatti e chiudersi nella loro visione ma aprire la mente e vederlo come uomo, accogliere tutte le sue sfaccettature e studiarlo a fondo senza limitarsi in niente.)

Ora la domanda che sorge spontanea è: e se Morton fosse anche dietro alla sparizione dei principi? Dopotutto l’unica persona che poteva trarne vantaggio dalla loro sparizione era una ed una soltanto: Enrico Tudor.

Ma questo è argomento per un altro giorno.


I FATTI IN BREVE:

“La catena della menzogna: chi ha davvero scritto la storia di Riccardo III?”

Polidoro Virgili: il cronista di corte al soldo dei Tudor

Un umanista italiano chiamato da Enrico VII alla corte inglese.

Incaricato di scrivere una storia dell’Inghilterra (Anglica Historia), commissionata proprio dal nuovo re.

Era un lavoro politico, non imparziale: doveva giustificare la presa di potere dei Tudor, quindi dipinse Riccardo come un tiranno usurpatore, per legittimare la vittoria di Enrico a Bosworth.

Prima menzione documentata dell’omicidio dei Principi nella Torre attribuito esplicitamente a Riccardo? Proprio sua.

Tommaso Moro: l’erede intellettuale di Morton

Il suo Resoconto della vita e morte di Riccardo III è spesso citato come fonte, ma:

Moro era troppo giovane per aver conosciuto personalmente Riccardo: è nato nel 1478, Riccardo è morto nel 1485.

È cresciuto nella casa di John Morton, arcivescovo di Canterbury e acerrimo nemico di Riccardo.

Quindi è estramamente probabile che il suo “resoconto” sia in realtà una narrazione appresa (o indotta) da Morton stesso.

La sua opera è incompleta, e molti studiosi la considerano più una satira o un esercizio letterario che un documento storico.

John Morton: il burattinaio nell’ombra

Fu Lord Cancelliere sotto Enrico VII e arcivescovo di Canterbury.

Era il mentore di Moro e il padrino spirituale e politico di Margaret Beaufort, madre di Enrico Tudor.

Aveva tutte le ragioni per odiare Riccardo III: era un sostenitore della fazione Lancaster e probabilmente implicato in complotti contro di lui.

È l’origine delle voci malevole: fu probabilmente lui a creare il nucleo della leggenda nera, che altri poi si limitarono a copiare e amplificare.

Shakespeare: l’autore teatrale al servizio dell’ideologia Tudor

Scrive sotto il regno di Elisabetta I, nipote di Enrico VII.

Si ispira alla cronaca di Moro (quindi a Morton).

Rende Riccardo III un personaggio grottesco e demoniaco per esigenze drammaturgiche, certo, ma sempre in linea con la propaganda Tudor.

Shakespeare non inventa: dà spettacolo basandosi su fonti manipolate.

Tiriamo le fila e possiamo dire con estrema certezza che ci troviamo di fronte ad una bugia ripetuta che è diventata verità.

Tutto torna a Morton, e ai Tudor. Le menzogne su Riccardo non sono il frutto di una verità storica, ma di una strategia politica. Morton è il seme, Virgili e Moro sono i rami, Shakespeare il frutto più velenoso.

E quindi la prossima domanda da porsi è: E se Morton c’entrasse anche coi principi? Dopotutto chi poteva trarre vantaggio dalla loro morte? Riccardo o…Enrico?

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