Il panorama delle storie d’amore che hanno segnato la storia è vasto, vastissimo, ma poche sono tanto struggenti e intense quanto quella di Abelardo ed Eloisa. Ci troviamo davanti ad un amore proibito, doloroso e osteggiato ma che ha lasciato un’impronta indelebile nella letteratura e nel pensiero occidentale.
Ma chi erano Abelardo ed Eloisa?
Pietro Abelardo era uno dei più brillanti filosofi e teologi del XII secolo. Bello e incredibilmente colto, la sua fama si estendeva ben oltre i confini della Francia, attirando studenti da ogni parte d’Europa. Fu proprio questa sua rinomanza a portarlo nella vita di Eloisa, una giovane di straordinaria intelligenza, educata dallo zio Fulberto a Parigi, canonico della cattedrale di Notre-Dame.
“Quale regina, quale donna potente non invidiava le mie gioie e il mio letto? Avevi due cose in particolare che ti rendevano subito caro: la grazia della tua poesia e il fascino delle tue canzoni, talenti davvero rari per un filosofo quale tu eri.“
“Tu eri tutto per me, più di un marito, più di un amante, più di un signore; eri il mio unico mondo, la mia unica gioia. Non v’è giorno in cui non pianga il ricordo delle nostre notti.”
Fulberto era ben consapevole dell’eccezionale cultura della nipote, un dono straordinario in un’epoca in cui l’istruzione femminile era pressoché inesistente. Mentre la maggior parte delle donne a stento sapeva leggere e scrivere, Eloisa brillava per la sua erudizione e il suo ingegno, una vera rarità nel mondo medievale. Affascinato dalle sue doti intellettuali, Fulberto decise di affidarla a Pietro Abelardo affinché ne affinasse ulteriormente le capacità.

Ma, per dirla alla Dante Alighieri, “galeotto fu il libro”…
Quella che avrebbe dovuto essere una relazione esclusivamente accademica si trasformò presto in una passione irrefrenabile. Tra lezioni e scambi di idee, nacque un amore segreto e travolgente, che si consumò tra le mura della casa di Fulberto, ignaro, almeno inizialmente, di quanto stesse accadendo sotto il suo stesso tetto.
“Dio solo sa se mai, nei miei atti o nei miei pensieri, ho cercato altro che te! Non desideravo né la gloria, né la ricchezza; non ambivo ad altro che a te, solo a te.”
La passione che travolse Abelardo ed Eloisa era talmente incontrollata che Abelardo dimenticò la filosofia, dimenticò la religione e il suo intelletto si inaridì di fronte alla carnalità di Eloisa. Iniziò a scrivere canzoni d’amore che lo resero famoso e proprio quella fama spinse Fulberto ad insospettirsi.
“Che dirti? Vivendo sotto lo stesso tetto, gli animi nostri s’intesero. Con il pretesto dello studio ci abbandonavamo perdutamente all’amore, e proprio lo studio offriva quei segreti isolamenti di cui l’amore ha bisogno. Dinanzi ai libri aperti parlavamo più di amore che di filosofia, ed erano più i baci che le sentenze. Più ai seni che ai libri correvano le mani, e gli occhi riflettevano l’incanto dell’amore più spesso che non si volgessero alla lettura del testo. Per non suscitare il minimo sospetto talvolta la percuotevo, ma era per amore non per furore, era per piacere non per ira, un piacere più soave di qualunque balsamo. Che dirti infine? A poco a poco gustammo bramosamente tutti i gradi dell’amore, senza trascurarne alcuno, e se l’amore ebbe mai il potere di escogitare piaceri insoliti noi ce li concedemmo. Quanto più inesperti eravamo, tanto più ardentemente indugiavamo a goderli senza mai giungere a provarne fastidio. Ma più ero posseduto da questo incanto, meno potevo dedicarmi alla filosofia e all’insegnamento. Mi era divenuto terribilmente fastidioso dover andare e trattenermi a scuola; altrettanto duro, quando passavo le notti insonni nell’amore, dedicarmi allo studio di giorno. A lezione poi divenni così trascurato e freddo che non dicevo più niente di geniale, ma tutto mi usciva di bocca per abitudine. Non fui ormai più che un ripetitore di quel che avevo creato prima, e se mi veniva fatto di creare qualcosa di nuovo, erano canzoni d’amore, non dottrine riservate ai filosofi. Molte di queste canzoni, come tu pure hai saputo, sono ancor oggi diffuse e cantate in molti paesi, soprattutto fra coloro per i quali è bella la vita in due.”

Quando Fulberto scoprì la relazione, reagì con furia ma la situazione si complicò ulteriormente quando Eloisa scoprì di essere incinta. Per evitare lo scandalo, Abelardo la portò in Bretagna, dove diede alla luce un bambino, Astrolabio. Tornato a Parigi, il filosofo cercò di riparare la situazione proponendo un matrimonio segreto, ma Eloisa si oppose, temendo che avrebbe compromesso la carriera di Abelardo e consapevole che questo non li avrebbe salvati agli occhi del mondo. Ma il matrimonio venne celebrato e quando Fulberto scoprì tutto si sentì tradito e umiliato, a tal punto da orchestrare la vendetta più crudele: una notte fece irrompere dei sicari nella stanza di Abelardo e lo evirò senza pietà. La tragedia segnò la fine della loro unione terrena, ma non del loro legame spirituale
“Se il nome di moglie ci avesse unito, forse il legame sarebbe stato meno forte di questo, che la sventura ha reso eterno. Io sono tua, solo tua, in questo mondo e oltre.”
Dopo la mutilazione, Abelardo si ritirò in monastero, diventando monaco a Saint-Denis, mentre Eloisa, su insistenza dello stesso Abelardo, prese i voti e divenne badessa a Paraclet. Ma il loro amore non si spense mai. Attraverso le loro lettere, scambiarono pensieri profondi e struggenti riflessioni sulla fede, l’amore e il destino. Le Lettere di Abelardo ed Eloisa rimangono una delle testimonianze epistolari più potenti della letteratura medievale, espressione di un sentimento che ha trasceso il tempo e la carne.
“In me brucia ancora la fiamma del desiderio, un fuoco che nessuna preghiera può spegnere. La tua immagine mi perseguita nei sogni, la tua voce risuona nel mio petto.”
Oggi, le tombe di Abelardo ed Eloisa si trovano nel cimitero di Père Lachaise a Parigi, unite come lo furono nei loro cuori, seppure separati nella vita. Si dice che quando Eloisa morì il corpo di Abelardo aprì le braccia per accoglierla in un abbraccio eterno.
Abelardo ed Eloisa non sono solo un capitolo nella storia d’amore medievale, ma il simbolo di un legame che nemmeno il dolore e le convenzioni sociali hanno potuto spezzare. Un monito, forse, che l’amore supera ogni ostacolo, anche il tempo stesso.
“Vorrei che la mia anima potesse liberarsi e volare da te, ovunque tu sia. Sei stato, sei e sarai sempre il mio unico amore.”

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