Cesare Borgia: il Principe oltre la leggenda nera

Nella memoria collettiva, il nome di Cesare Borgia evoca intrighi, delitti e crudeltà. La “leggenda nera” dei Borgia lo ha dipinto come un mostro rinascimentale, affascinante e pericoloso, capace di uccidere fratelli e tradire alleati senza rimorso. Eppure, dietro questa maschera di sangue e paura, si cela un uomo colto, raffinato, stratega di talento e visionario politico, che forse fu vittima più della propaganda che delle proprie azioni.

Nato a Subiaco nel 1475, figlio di Rodrigo Borgia (il futuro papa Alessandro VI) e di Vannozza Cattanei, Cesare sembrava destinato alla carriera ecclesiastica. A soli diciotto anni fu nominato cardinale, un percorso fulmineo che avrebbe garantito alla famiglia potere e prestigio nella Curia romana.

Ma la sua indole era tutt’altra: Cesare non era fatto per l’ombra dei palazzi ecclesiastici, bensì per l’azione. La morte violenta del fratello Giovanni, duca di Gandia, lo spinse a un gesto senza precedenti: abbandonò la porpora per imbracciare la spada. Divenne duca di Valentinois, titolo che gli fu conferito dal re di Francia Luigi XII, e sposò Charlotte d’Albret, sorella del re di Navarra.
In poco tempo, Cesare si trasformò da principe della Chiesa in condottiero ambizioso, con una rete di alleanze internazionali che facevano tremare le corti europee.

Contrariamente all’immagine del soldato brutale, Cesare era un uomo profondamente colto. Parlava più lingue, amava la musica, le arti, la letteratura. Era elegante nel portamento e nel vestire, e la sua corte, ricca di artisti e intellettuali, rifletteva il gusto e il fasto del Rinascimento. Le cronache lo descrivono come un uomo capace di affascinare chiunque lo incontrasse, dotato di carisma naturale e di intelligenza fuori dal comune.
Ma le sue ambizioni non si fermavano alla sopravvivenza dinastica dei Borgia. Cesare intuì una verità che in molti avrebbero compreso solo secoli più tardi: l’Italia divisa era debole, vulnerabile alle potenze straniere. Il suo obiettivo era costruire uno Stato forte e centrale che potesse diventare il nucleo di una futura unificazione.

Le sue campagne militari furono tanto spietate quanto brillanti. Conquistò e pacificò la Romagna, sottomettendo città ribelli come Imola, Forlì e Rimini. Impose ordine in terre che da decenni erano lacerate da faide e anarchia. In questo, Cesare non fu solo un guerriero, ma un amministratore moderno.

Nicolò Machiavelli conobbe Cesare di persona e ne rimase affascinato. Nel Principe lo presentò come il modello del governante ideale: spietato quando necessario, ma lungimirante, capace di costruire le fondamenta di uno Stato solido. Per Machiavelli, Cesare aveva tutto ciò che serviva a un grande leader, salvo la fortuna. La morte del padre, papa Alessandro VI, e il repentino cambio di alleanze lo lasciarono solo, senza sostegno politico.

Attorno a Cesare aleggia anche la leggenda del rapporto con la sorella Lucrezia, avvolta da voci di incesto e scandali. In realtà, le fonti storiche ci raccontano altro: Cesare usò i matrimoni di Lucrezia come strumenti politici, ma allo stesso tempo la protesse e mantenne con lei un legame sincero. Le loro lettere, intrise di affetto fraterno, mostrano un rapporto ben diverso dal mito oscuro tramandato dai nemici.
Il sogno di Cesare crollò con la morte del padre nel 1503 e con l’elezione al soglio pontificio di Giulio II, acerrimo nemico dei Borgia. Malato di sifilide, indebolito e isolato, Cesare fu arrestato, imprigionato in Spagna e infine liberato.
Si rifugiò quindi in Navarra, presso la famiglia della moglie Charlotte d’Albret, sorella del re. Qui mise le sue abilità militari al servizio del cognato, impegnato a difendere i propri domini dalle ribellioni dei signori locali.
Fu durante una di queste campagne che Cesare trovò la morte: nel 1507, nei pressi di Viana, cadde in battaglia contro le truppe ribelli del conte di Lerín. Tradito da una manovra, separato dai suoi uomini e circondato dai nemici, fu ucciso dopo un ultimo disperato combattimento.

Cesare aveva appena trentun anni.
Il suo corpo venne sepolto nella chiesa di Santa Maria di Viana, ma la sua presenza non fu mai accolta serenamente: un uomo come lui, ex cardinale e condottiero temuto, era ritenuto indegno di riposare in terra consacrata. Nel corso dei secoli la sua tomba fu più volte profanata, spostata e addirittura gettata fuori dalla chiesa. Per lungo tempo le sue ossa rimasero nella strada principale del paese, calpestate dai passanti e dalle processioni religiose, come monito morale.

Solo nel Novecento le spoglie furono ricollocate all’interno della chiesa, dove si trovano ancora oggi. La sua lapide recava un’iscrizione che sembra quasi un’epigrafe di sfida:

“Qui giace in poca terra colui che tutta la temeva, colui che la pace e la guerra tenne in sua mano, colui che la Fortuna innalzò e poi rovesciò, colui che con l’armi e con la mente domò il mondo.”

Oggi questa iscrizione non è più visibile: la conosciamo soltanto grazie ai resoconti storici che l’hanno tramandata.

Cesare Borgia non era il mostro diabolico tramandato dalla propaganda. Fu un uomo del suo tempo: spietato quando le circostanze lo richiedevano, ma anche colto, visionario e capace di vedere più lontano di molti altri.
Il suo progetto politico fallì, ma resta una domanda affascinante: se la fortuna non gli avesse voltato le spalle, sarebbe potuto diventare davvero il primo Principe d’Italia?

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